(Riceviamo e Pubblichiamo) Sono diventato popolare.
Su Facebook ricevo in continuazione richieste di amicizia, mi taggano nei post, commentano i miei commenti, aumentano i mi piace, sento un’attenzione crescente verso di me. In strada le strette di mano si sprecano, fioriscono i sorrisi e gli sguardi ammiccanti, i caffè e gli inviti al bar non si contano più. Anche whatsapp è attivo, con le foto di manifesti promozionali, le catene di S. Antonio con promesse elettorali, le vignette sarcastiche contro l’avversario di turno.
È la campagna elettorale del 21° secolo. Ai soliti manifesti murali, agli spot televisivi e radiofonici, alle visite porta a porta dei candidati, si aggiungono i nuovi sistemi di comunicazione di massa che invadono ogni spazio libero della nostra vita. Sono sempre con noi, nelle nostre tasche, nelle nostre mani, catturano lo sguardo, ci rubano i pensieri, ci schiavizzano. E noi? Beh, noi ci lamentiamo di non avere il tempo di fare tutto, siamo sempre in gara con il tempo che corre più veloce di noi, impedendoci di fare tutto ciò che vorremmo (e a volte dovremmo) fare. Ma non facciamo nulla per evitare che gli avvenimenti gestiscano la nostra vita, anzi, più cose abbiamo da fare, più ci sentiamo vivi; più telefonate arrivano al nostro cellulare, più messaggi whatsapp, più notifiche Facebook, più strette di mano e sorrisi ipocriti collezioniamo più ci sentiamo partecipi del mondo. Siamo alla fiera delle vanità. Dovremmo usare il nostro tempo, invece ci facciamo usare da esso, manipolare, cambiare. Una volta il tempo si sprecava ed era una cattiva cosa, oggi è il tempo che spreca noi, ci maltratta e ci umilia, ci consuma e ci cestina, ci calpesta e ci uccide. Ed è una cosa ancora più cattiva. Per questo siamo disposti a tutto pur di lasciare tracce, di essere visibili e considerati dagli altri, che spesso approfittano di questa nostra “voglia di apparire” piegandoci ai loro voleri. Succede lo stesso per i politici, o presunti tali, in campagna elettorale. I più preparati sanno bene di cosa hanno bisogno i cittadini, e si prodigano a promettere usando spesso volti e nomi adatti alla bisogna. Ricordo la “discesa in campo” di Berlusconi. È stato lui il precursore di questo “modus operandi”, studiando la campagna elettorale a tavolino con un’agenzia di promozione. Invece di scrivere un programma elettorale, creò un prodotto da pubblicizzare ed usò tutti i suoi personaggi televisivi più bravi e conosciuti, come testimonial, costringendo quasi il pubblico a votare per lui. Fu un trionfo, l’apocalisse dei partiti fini a se stessi e l’avvento del modo commerciale di fare politica. Oggi, in piccolo, accade lo stesso ad ogni tornata elettorale di ogni comune d’Italia. Angri non si sottrae. E quindi, di cosa ha bisogno la città? Di cosa hanno nausea i cittadini? Di cosa hanno paura i votanti? Quali sono le debolezze dell’avversario di turno? Una volta avute le risposte a queste domande tutto diventa facile, si stuccano facce sorridenti, si sfruttano mani intrecciate, si coinvolgono persone pulite, mettendo loro in bocca parole già dette, assiomi già andati a male, slogan di false certezze. E nessuno dei candidati si lamenta, anzi, inconsapevole di essere usato, ognuno si sente in grado di raggiungere il proprio obiettivo, ognuno si sente all’altezza di tagliare il nastro del traguardo per primo; senza minimamente ricordare che dopo lo scatto finale, che ci si arrivi primi o ultimi, quelli che veramente dovrebbero avere benefici da questa “fiera delle vanità” sono i cittadini. Poi, tutti i “portatori d’acqua” dovranno tornare alle loro occupazioni, o peggio, disoccupazioni, sperando di non aver lavorato per lo squalo di turno, sperando di non essere stati usati e poi buttati via come una salvietta sporca; sporca delle tante promesse fatte che forse mai potranno essere mantenute.
Carmine Lanzieri Battaglia