Dopo la giornata di fatica, lo zappatore era tornato nel suo cortile ed, inerte, con i gomiti poggiati sulle ginocchia, sedeva sulla pietra accanto al pozzo sbrecciato.
Un sospiro di vento portava nel budello delle case grigie e basse la cadenza monotona del bindolo che ancora dissetava gli orti. L'odore della terra bagnata dal fresco rigoglio di acque nostrane si mescolava al fumo dei fusti di pannocchia bruciati sotto la pentola, davanti al basso, cuocere pasta e patate. Col collo infilato nel sacco della biada, poco discosto, il cavallo batteva lo zoccolo sul basolo. I lunghi silenzi erano rotti dal lamentoso guaire di cani alla catena dinanzi ai pollai delle masserie.
La problematica della festa non era avvertita dalla gente di campagna, che aveva il problema primario del pomodoro e del granone, dopo l'annata dei cavolifiori e delle patate. Della festa si parlava, prima e dopo, nel salone del barbiere e nella bottega del mastro scarparo, giudi ci senz'appello di maestri d'orchestra e fuochisti di nome.
Solo i mastri veraci sapevano dire come e quando dovevano «entrare» gli ottoni sull'ondata leggera dei clarini della banda musicale e giudicavano financo il gesto del maestro direttore d'orchestra. Della bomba in aria, poi, misuravano la potenza ed il colore, la «spaccata» ed il contraccolpo a terra. Tra i diversi barbieri, scarpari e cucitori venivano fuori i «patiti» di Gioia del Colle o Squinzano (le bande pugliesi più osannate); di Perfetto oVallefuoco (i «cavalieri» dell'arte pirotecnica).
Discorso facendo, si mettevano a misura i vestiti che i paesani avrebbero indossato la sera della festa, sotto le luci policrome delle arcate.
Tutti vestiti a nuovo, dal paese o dalla campagna, con le scarpe nuove lavorate dalla mano del mastro, per l'invidia dei vicini di paese che diffondevano la fandonia dello «schizzo» di pomodoro sulla camicia di bucato, a dimostrazione dell'avvenuta consumazione del pranzo festivo a base di braciole legate col ferro filato.
I diversi rioni preparavano il maio per la processione del san Giovanniello (la statua d'argento di serie «B» del Patrono San Giovanni vecchio), che doveva raccogliere la frutta primaticcia della campagna.
assistente della Congrega, dava «luce» alle sue insegne, preparandosi per la processione secondo un rito che aveva i l sapore dei secoli.
Sul terreno gibboso della piazza grande, carovane di carrozzoni portavano le attrazioni, i l Circo equestre di Bombicchio (sei quadrupedi; l'acrobata; Bagonghi; i l fine dicitore che strappava l'applauso quando cantava «Zappatore»; la sciantosetta, precorritrice della moda della m i n i gonna; una donnacannone) tra giostre di legno, sgargianti di colore e di specchietti rilucenti; i l tiro a segno per la serata «brava» dei giova Qotti (ad ogni lampadina impallinata dal colpo di fucile, un'occhiata ed un approccio con la «forestiera», ragazza del baraccone).
Nella stessa piazza le bancarelle dei venditori di carne cotta(piedi e muso bovini, bolliti e spruzzati di limone e pepe) e di cozze sporgenti da lucenti teglie infiorate.
Per giornate intere, in ogni strada, le note del pianino, in volo come farfalle a raggiungere finestre e balconi, per la novena al patrono:
San Giovanni che sei nei cieli….
(Disegno di Luigi Giordano)